Mozzo/Storia: “QUANDO il FASCISMO BOICOTTO’ il dialetto e Giopì ” di Luigi Rota



QUANDO il FASCISMO BOICOTTO’ il dialetto e Giopì ——————————————-
Al regime non andavano a genio: non erano simboli di italianità. Per gli studenti c’erano punizioni. Invece Papa Giovanni non volle mai lasciare il bergamasch, come racconta in versi Luigi Gnecchi.
E ad un certo punto il dialetto bergamasco andò di traverso al regime fascista… Nelle scuole arrivò l’ordine di boicottarlo, e uno studente che era in collegio a Valnegra ricorda che « chi parlava dialetto saltava il pranzo». Di più: dalle vetrine dei negozi sparì la maschera del Giopì: anche i tre gozzi non piacevano al regime, non erano simbolo di italianità. 

Però malgrado l’ostracismo, il dialetto non sparì dalle bocche dei bergamaschi, che ancora per alcuni anni continuarono a parlarlo con gusto.

In particolare, guai a toccarglielo, il « suo» dialetto, a Papa Giovanni.

Sul finire degli anni cinquanta, quand’era direttore del Giopì, giornale che più bergamasco di così non si può (e che il fascismo tolse dalla circolazione), Luigi Gnecchi fu ricevuto in udienza da Papa Giovanni; poi,da buon poeta, ricordò in versi il memorabile incontro.

Tradotte dal dialetto, queste le sue sensazioni; con tanto di rivalutazione del bergamàsch « Ho sempre avuto passione per il dialetto / e fin da piccolo l’ho parlato con gusto, / ma un giorno per esso ho provato più rispetto. / E’ un fatto straordinario e mi par giusto, / oggi scriverlo, e magari stamparlo, / perché lo ricorderò fin che vivo. / E’ il millenovecentocinquantotto, otto dicembre: / mi trovo inginocchiato davanti al Papa. / Insomma; un fatto che non sempre capita. / Per l’emozione ho perso persino la favella. / Rido e piango, non so cosa devo dire / e sento un tremolio in tutto il corpo. / Lui mi fa in bergamasco: “ Oh, come àla?”. / Io sul momento non riesco a rispondere. / Mi dà un colpetto sulla spalla / per farmi coraggio. Asciugo la fronte / e, dopo un po’, comincio a farfugliare / parole pressappoco in italiano./ E il Papa dice: “Ma se l’me parla issé / ü del Giopì, a m’se intènt miga piö; / mè che te pàrlet bergamàsch con mé./ Ah , ‘l nòst dialèt! A só contèt che ‘ncö / coi bergamàsch che i è vegnicc a squadre / a m’pöl parlà la nòsta lingua madre. / Del rèst crèdemel pör: po’ a mé qualch vólte / a parle ‘n bergamàsch coi cardinài” / E allora io: “ Ma Santità, l’iscólte ( come fài a capì? Sé, come fài?” / E lui con un sorrisetto: “Te gh’è resù / de fam öna tal sórt de osservassiù”./ Con tutta calma mi ha spiegato che, insomma,/ siccome l’avevano mandato a star di casa /-e per rimanerci in permanenza-a Roma / “i è lur ch’i à de comprend ol mé parlà”. / Erano loro che dovevano comprendere il bergamasco, / cardinali, monsignori e camerieri./ 

“Mia mé capì chèl ch’i dis lur”. / E’ continuata per un bel po’ l’udienza. / Poi mi ha stretto la mano, mi ha salutato. / E adesso vi dirò in tutta coscienza / che per la prima volta ho provato / piacere e contentezza da non dire / per merito del dialetto e del Giopì.

 Vi è risultato difficile capire il dialogo tra Papa Giovanni e Luigi Gnecchi? Troppo duro, aspro?

Sapete che in tempi lontani, lontanissimi, l’antico Virunnio lodò moltissimo il dialetto bergamasco? Facendo paragone fra cinque dialetti dei greci e cinque degli italiani, diede la palma del migliore al veneto, secondo il bergamasco (ma si) e soltanto terzo il fiorentino.

Concludeva così lo storico Bortolo Belotti un suo studio sul dialetto:« Piuttosto che rustico ed aspro, il bergamasco è forte e corposo come i ciottoli rotolanti a valle durante le piene impetuose dei nostri fiumi.Per il resto, ogni linguaggio, anche il meno lessicamente dotato, assume dignità letteraria se vi è chi lo sappia elaborare elevandolo alle vette dell’arte. E la nostra letteratura dialettale vanta a questo proposito esempi tutt’altro che trascurabili».- Dialetto mon amour. Però è allarme rosso. « Rimarrà comunque per sempre», si sottolinea, «un patrimonio inestinguibile, perpetuante nei secoli il carattere singolare, le virtù e i difetti della gente bergamasca ». Ha sentenziato lo scrittore pisano Antonio Tabucchi:« Guai se si estinguessero i dialetti: sono un fatto di pluralismo, di arricchimento della lingua ».

Lo difende a spada tratta il Ducato di Piazza Pontida; i suoi vassalli non si arrendono, lo parlano in ogni occasione e ci fan su pure delle splendide poesie. Con scarsa difficoltà per la rima; ma gli accenti, essi, sono una gran dannazione.
                                                                                    Luigi Rota