Mozzo/Reduci: “L’ULTIMO REDUCE DELLA GUERRA 1940 – 1945” Mozzo Comunita Viva dicembre 2014


“L’ULTIMO REDUCE DELLA GUERRA 1940 – 1945
Quando nella vita ti sei dato uno scopo e lo raggiungi, ti senti contento di averla vissuta.
Così si esprime il signor Colombo Alessandro, 93 anni, alpino di Mozzo, ultimo reduce della guerra 1940 – 1945. In queste pagine racconta la sua storia, le sue vicissitudini di guerra passate sui fronti di Grecia – Albania e poi in Africa settentrionale.
Era l’anno 2006, frequentando la “Casa dell’Alpino” qui a Mozzo in Via Tombotto, ebbi occasione di conoscere molti ex alpini (che non saranno mai ex ma sempre Alpini per tutta la vita). In particolare rimasi affascinato della personalità del veterano del gruppo il sign. Alessandro Colombo, l’unico superstite (del Gruppo di Mozzo) della guerra 1940 – 1945.
Gli chiedo se vuole raccontarmi le sue vicissitudini di guerra sui vari fronti con l’intenzione di pubblicarle sul bollettino Parrocchiale “Comunità Viva”. Alessandro acconsente e mi invita a casa sua in Via Giov. Pascoli alla Dorotina.

Mi fa accomodare in salotto e mi presenta sua moglie la signora Vittoria e sua figlia Francesca, che nel frattempo prepara un buon caffè. Iniziamo a conoscere Alessandro, che ci racconta la sua storia. « Sono nato a Solza, BG, il paese che diede i natali a Bartolomeo Colleoni, da una famiglia di contadini. Mio padre lavorava a mezzadria un piccolo podere e con il ricavo doveva sfamare la moglie e cinque figli. Fin da piccolo aiutavo mio papà, con i miei fratelli abbiamo partecipato alla costruzione della nostra casa, ma poco dopo l’inizio dei lavori il papà venne a mancare lasciando mia mamma e noi in grosse difficoltà economiche. Questo fatto mi segnò per tutta la vita e fin da piccolo giurai a me stesso che non avrei acquistato nulla se non ero in grado di pagare. Iniziai così a 11 anni a lavorare nelle piccole imprese locali portando il secchio. A 12 anni facevo già il pendolare per Milano, lavorando sempre come garzone e tante volte stavo lontano da casa l’intera settimana. Tutto ciò non mi pesava perché ero orgoglioso e fiero di contribuire con la mia paga in famiglia al pari dei miei fratelli. La felicità che vedevo sul volto di mia mamma, quando chiudendo l’uscio furtivamente contava i soldi, era una sensazione per me indescrivibile. A quella età avevo un grande desiderio: possedere una bicicletta anche usata tutta mia! L’avevo già adocchiata e già la sognavo alla sera nel mio giaciglio, sotto una scala. Ho iniziato così a mettere da parte qualche moneta e mi mancava poco per raggiungere la cifra necessaria: mancavano solo 10 lire. Ma una brutta mattina persi il mio borsellino e il mio sogno svanì. “Cosa c’è bergamaschi” mi domandò il mio capomastro. Raccontai piangendo il fatto agli operai che cercarono di consolarmi. A mezzogiorno come al solito andai a fare la spesa per i miei compagni di lavoro: pane, mortadella, salame, gorgonzola e poi ci sedevamo tutti insieme a mangiare. Dopo il “ pranzo” mi consegnarono 70 lire (10 in più di quelle smarrite) affinchè potessi comperare la mia bicicletta. Quale esempio di generosità mi hanno dimostrato! E quanto è grande ancor oggi la mia gratitudine verso di loro!».
La trasferta per lavoro
«A 18 anni mi recai a Potenza, dove era richiesta la manodopera di muratori nella ricostruzioni delle case, dopo la devastazione del terremoto. Lì mi arrivò la cartolina precetto per il servizio militare e presso il distretto di Avigliano città feci la visita per la leva. Venni destinato a Tirano nel “ 5° Alpini Battaglione Tirano”. La ferma dura 18 mesi (avevo 21 anni) e vengo congedato con il grado di Caporale Maggiore.» Nel 1939 in Europa c’era aria di guerra su vari fronti. Alessandro viene richiamato e destinato a Brindisi in attesa dell’imbarco per l’Albania, dove la guerra era già in corso. Sbarcato a Durazzo subisce subito il primo bombardamento cavandosela senza subire ferite. Poi iniziarono i trasferimenti su quelle montagne aride e pietrose e per sette mesi fu vera guerra. Il 28 ott. 1940 l’Italia iniziò le azioni militari sul confine Greco – Albanese impiegando una parte delle otto divisioni che presidiavano l’Albania. Domanda:« Allora sign. Colombo non ci furono mai momenti di tregua?». « Si certamente, anche se in quelle pause di calma apparente sei sempre in pericolo, comunque il tuo pensiero va a casa, ai tuoi cari, e pensi a tante cose positive. Ad inizio gennaio del 1941 venni informato dal mio comando che il 1 dicembre 1940 era morta mia madre. Immaginatevi il mio stato d’animo apprendendo questa ferale notizia un mese dopo i funerali. In questa situazione il comando mi concede una licenza di un mese per tornare in Italia a casa. Vado a Tirana e con un aereo militare mi portano a Foggia. In treno arrivo a Modena dove sapevo che in un Istituto religioso c’era una mia sorella, suora superiora la quale mi ospita per qualche giorno. Finalmente posso parlare con un familiare e sapere cosa è successo alla mamma. Rifocillato vado al mio paese e, prima che dai parenti, vado al cimitero a far visita alla tomba della mamma. I giorni passano alla svelta e il mese di licenza sta per finire. Vado a Bari dove mi imbarco su un piccolo battello diretto a Durazzo, ancora in Albania, sempre al fronte. Nel mese di aprile del 1941 i tedeschi vennero in aiuto alle truppe italiane, poste in difficoltà dalla inattesa resistenza greca. Dopo l’occupazione di Corinto effettuata dai paracadutisti, tra il 27 e il 30 aprile,le truppe dell’Asse (Italia e Germania) conquistano Atene». Domanda:« allora sign. Colombo, finalmente è finita, si ritorna a casa?». « Beh!… era finita la guerra Greco – Albanese, ma un altro fronte ci aspettava. Comunque, via mare ritorniamo in Italia. Da bordo della nave vedevamo avvicinarsi il molo di Bari. Era gremito di gente che ci salutava agitando le braccia. Quando fummo entrati in porto, vidi sul molo schierati sull’attenti le massime autorità militari, con il capo del Governo Benito Mussolini . Ci resero gli onori militari in quanto truppe “vittoriose”. Parlare di “vittoria” oggi mi sembra una cosa stonata, se penso agli amici lasciati in terra albanese, che mai più torneranno! Mi domando sulla necessità di quella guerra contro la Grecia e l’Albania e non trovo una risposta. Eravamo là tanti giovani scarsamente equipaggiati e con poche armi. Poco fiduciosi nella vittoria finale, fummo informati della ritirata dei greci per l’intervento dei tedeschi e accogliemmo con gioia la notizia. Là sui monti della Grecia soffrii molto freddo, ricordo infatti che una sera per scaldarmi i piedi tagliai le maniche del maglione per farmi un paio di calzini. – Da Bari in treno fino a Pinerolo, dove passo giornate di attesa. Sapevo che ci avrebbero mandati sul fronte in Africa settentrionale, oppure in Russia. Finchè un giorno ci fu una richiesta di volontari per arruolarsi nella divisione “Folgore”. Per vari motivi, anche familiari (vedi la scomparsa della mamma) e forse per la paura di soffrire nuovamente il freddo, mi arruolai come volontario nella “Folgore”, evitando di partire per la Russia. Infatti pensai: “ Meglio morire al caldo che al freddo” e così a dicembre del 1941 sono a Tarquinia per l’addestramento di paracadutista guastatore che dura quattro mesi ed effettuo quattro lanci con il paracadute. A maggio sono a Mestre dove viene formata una tradotta militare e, via Zara e Fiume di nuovo in Grecia, dove con aerei tedesch i Junker veniamo trasportat i a Tobruk in Africa». Domanda:« Allora signor Colombo la sua storia militare è come un’odissea, non finisce mai». Infatti non pensavo che la campagna d’Africa durasse ancora quattro anni (compreso il periodo di prigionia ).
Sul fronte del deserto.
« Si parte in autocolonna, pochi mezzi meccanici e con poche armi, si va verso EL-Alamein (dove la nostra colonna non arriverà mai). Le navi che partivano da Malta , per rifornirci di viveri, armi e benzina venivano affondate prima di toccare la riva nei pressi di Tobruk. Mentre le truppe italo – tedesche che erano partite in precedenza raggiungono El – Alamein il 30 giugno 1942, guidate dal Maresciallo Rommel, li si scontrano con le truppe inglesi in una serie di battaglie. Il 7 sett. Rommel con una inferiorità numerica di truppe sferra un’offensiva, ma viene sconfitto dall’8va armata britannica comandata dal generale Montgomery».
Il giorno che mi fecero prigioniero
Ricordo che avevamo scavato una trincea nella sabbia per lanciare bombe a mano alle autoblindo inglesi. A un certo momento una granata nemica esplode vicinissimo alla trincea, un forte boato e una nuvola di sabbia si solleva: quasi accecato dalla sabbia vedo un mio compagno che esce dalla trincea e fugge impaurito e va di corsa verso un campo minato. Lo conosco, mi metto ad urlare: “Billi, fermati buttati a terra” e lui gridando mi rispose: “Colombo…tutti morti…tutti morti!”. Non erano tutti morti erano solo sepolti di sabbia. La situazione era critica, le autoblindo nemiche erano ormai vicinissime. Penso tra me e me, ci siamo. Poco dopo un autoblindo con la mitraglia puntata su di noi , ci costringe alla resa, ci fanno prigionieri. Non hanno infierito, ci dissero andiamo ragazzi, rimorchiarono il nostro mezzo e via verso il campo di concentramento. – Domanda:« Allora Colombo, mi tolga una curiosità, il lancio con il paracadute nel deserto non avvenne?». «Meno male, non sarei qui a raccontarla, però venni impiegato nelle operazioni di guastatore, che consistevano nel mettere le cariche di tritolo per eliminare fili spinati e anche far saltare le postazioni nemiche. In quel conflitto sono scomparse alcune tra le migliori unità italiane, come la divisione corazzata “Ariete” e la divisione paracadutisti “Folgore” ; le fanterie, sprovviste di mezzi, vennero catturate dal nemico motorizzato».
FU UNA GUERRA IMPARI
« La superiorità britannica di uomini e mezzi era schiacciante: 65.000 fanti inglesi contro 30.000 italo-tedeschi; 1350 carri armati di cui 500 pesanti, contro i 500 avversari, di cui solo 38 pesanti; 900 cannoni contro 500 ; 1500 pezzi anticarro contro 500; l’aviazione nella misura di 3 a 1. Abbondanza di rifornimenti di ogni genere, mentre gli italo- tedeschi scarseggiavano munizioni e benzina».
I vari campi di prigionia
I campi di prigionia furono diversi; Alessandria d’Egitto, Cairo, Suez, Sinai, infine arrivai in Palestina nelle vicinanze di Gaza. Venni messo in un campo con 10 prigionieri e mi fu affidata la mansione di attendente ed un capitano scozzese di nome Pegger di cui venni a godere delle sua stima. A questo proposito voglio raccontare un fatto, che racconto sempre ai miei nipoti, perché sappiano che l’onestà viene sempre ripagata. Un giorno, durante l’orario di pulizia alle tende dei tre capitani viene a mancare un orologio. Io e gli altri due attendenti fummo subito sospettati ed interrogati. Malgrado ci dichiarassimo innocenti ci misero in prigione, in celle diverse, per due giorni. Per una serie di coincidenze che non stò qui a raccontare il maggior sospettato ero io; cercarono di convincermi a dichiararmi colpevole ma, essendo innocente continuai a negare. Infatti solo dopo una settimana si scoprì che l’orologio era stato rubato da un altro attendente, che a sua volta lo aveva rivenduto. In seguito a ciò il capitano Pegger per premiare la mia onestà o per scusarsi nei miei confronti si prodigò a farmi avere un permesso di libera uscita e andai a visitare la città di Gerusalemme».
Il ritorno in Italia
« Al ritorno dalla prigionia sbarcai a Napoli il 7 luglio del 1946 all’età di 31 anni, una volta a casa trovai le stesse difficoltà economiche che avevo lasciato a venti anni. Mi misi subito in cerca di un lavoro di muratore e lo trovai a Milano. Nel 1947, avendo trovato un’ occupazione fissa e risolto i problemi finanziari, mi sposai con Vittoria che ancor oggi è la mia compagna e dalla quale ho avuto due figli: Francesca ed Olimpio. In seguito venni assunto dalla Ercole Marelli di Sesto San Giovanni dove lavorai fino all’età di 60 anni. Per arrotondare la paga, facevo il pompiere una settimana al mese, durante le ore notturne, mentre nelle restanti settimane svolgevo qualche lavoro di manutenzione presso vicini o amici. La mia è stata proprio una vita “casa e lavoro” senza svaghi. Appena pensionato ho continuato a tenermi in attività, riparando la casa di mio padre a Solza, dove sono tornato a vivere facendo il nonno alle nipoti e coltivando l’orto. – Dal 1991 mi sono trasferito qui a Mozzo ove godo veramente la vita di pensionato. Al mattino dopo la ginnastica ed una buona colazione mi reco a fare la spesa in sella alla mia bicicletta, mentre nel pomeriggio sempre in bici vado a giocare a bocce sia a Mozzo che a Ponte S. Pietro,iscrivendomi quando è possibile ai tornei. Mi piace molto il gioco delle bocce, perché oltre alla competizione, mi fa sentire ancora giovane ed in grado di competere con chi ha qualche anno meno di me. Nell’ultimo torneo a Ponte in una gara di doppio dovevo disputare per il 3° e 4° posto, ma per un problema di salute ho dovuto rinunciare, facendo così perdere anche il mio compagno. Due o tre anni fa sempre in sella alla mia bici arrivavo fino alla Madonna della Castagna per disputare partite a bocce, ma ultimamente il fiato non me lo permetteva più. Ringrazio il giornale Parrocchiale “Comunità Viva” per aver ospitato questo racconto della mia vita.
Luigi Rota
NB: Alessandro Colombo con rimpianto ci ha lasciati il 04-12-2012