Ricordi di una giovinezza vissuta in tempo di guerra
LA BUONA AZIONE
Erano gli anni che vanno dal 1942 al 1945. Noi ragazzi di quel tempo abbiamo avuto la sfortuna di essere cresciuti in un periodo di guerra (niente televisione, niente biblioteca, e neanche l’oratorio).
Il nostro tempo libero tra il suono della sirena d’allarme e il cessato pericolo, lo trascorrevamo nel bosco in cerca di “avventure”. In estate i più temerari facevano il bagno nel Riolo. La zona chiamata “ol fundù”era la nostra Rimini, circondata da robinie al posto delle palme (ora questo posto è a fianco del Centro Sociale ricoperto in cemento, è il tombotto).
Togliendo i grossi sassi dal fondo del Riolo, avevamo costruito una specie di piccola piscina, praticamente una grossa buca che era sempre colma di acqua piovana, che scendeva dal monte nella zona Carpiane, e non era inquinata perché non vi si scaricavano le acque dei pozzi neri.
Nel bosco giocavamo ai “prigionieri” Si formavano due gruppi di ragazzi; ogni gruppo aveva il suo caposquadra, vinceva chi catturava più prigionieri. Questo gioco durava ore, perché lo spazio era enorme. I ragazzi si mimetizzavano dietro alle frasche ed era difficile stanarli. Quando si scopriva il cespuglio o la buca dove erano nascosti, lo si circondava e si intimava ad alta voce: «Fuori con le mani in alto!». A differenza degli adulti che facevano o subivano la vera guerra, per noi ragazzi finiva tutto in allegria perché era solo un gioco.
Ma un pomeriggio dell’estate 1944 ecco avvenire una scoperta che ci precipità nella realtà della vita. Giocavamo come al solito alla ricerca di un grosso cespuglio per nasconderci. Eravamo nella zona sotto la Villa Berba, ( a 200 metri dal punto dove poi in seguito fu costruita la chiesina degli Alpini.) Dietro un folto cespuglio notiamo un passaggio occultato da frasche. Spostiamo i rami e entriamo carponi e ci troviamo in una piccola grotta. Con sorpresa e paura vediamo due giovani uomini sdraiati sulla paglia. Impauriti istintivamente tentiamo di tornare indietro, loro ci chiamano e ci dicono di non aver paura:« Siamo due prigionieri di guerra, io sono greco; mi chiamo Staiko, lui è serbo, si chiama Svoba, siamo usciti dal Campo della Grumellina e ci hanno ospitato nascosti nel fienile (fecero i nomi dei contadini; Bonacina Giuseppe- Nava Virginio-e Bonacina Pasquale) ma per evitare una rappresaglia da parte dei tedeschi verso queste famiglie ci siamo trasferiti nel bosco nascondendoci in questa piccola grotta».
Finì che si divenne amici, con la promessa di non parlare della loro presenza con nessun forestiero.
Dopo quell’incontro diventammo più maturi, più consapevoli, insomma più uomini. I nostri giochi continuarono, ma non era più come prima, pur essendo ragazzi, sentivamo di avere una responsabilità verso quei due giovani. Portavamo loro dei panini con salame e formaggio (che era la nostra merenda) un fiasco di acqua e dei fiammiferi. La cena la portava un anziano del paese, lo vedevamo salire sul monte alla sera con la pentola della minestra nascosta nel sacco , e per non destare sospetti era sempre accompagnato dalla sua piccola nipotina. –Ogni giorno che passava, la situazione per i due prigionieri si faceva sempre più critica. Nelle nostre scorribande nel bosco, incontravamo di frequente persone forestiere, alcuni con zaino; si dirigevano sul sentiero della Bagnata, altri erano in divisa e armati.Uno di questi( che io credevo fosse un guardiacaccia, visto che aveva a tracolla un fucile da caccia) ci chiese se avevamo visto delle persone forestiere aggirarsi nella zona; la nostra risposta fu un no deciso. Se ne andò ripetendo:« mi vedrete ancora, ricordate che è un vostro dovere di Balilla segnalare la presenza di persone sospette!».
Arrivò l’autunno e come sempre ogni tanto si andava a far visita ai prigionieri. Ma un giorno con nostra grande sorpresa
Trovammo la grotta vuota, dei due occupanti non c’era traccia, solo due moccoli di candela incastrati nel tufo. Pensammo che si fossero aggregati ai gruppi di partigiani che passavano sul sentiero della Bagnata, per dirigersi verso il Canto Alto, o verso la Valle Taleggio. – Al pomeriggio dello stesso giorno, due di noi si recarono a Mozzo di Sopra per parlare con i ragazzi della contrada San Lorenzo perché anche loro aiutavano i prigionieri nascosti nei fienili di Via San Lorenzo portando loro pane e latte e quella mattina non li avevano più visti. Però furono tranquillizzati da alcuni adulti che dissero loro:« Ragazzi state tranquilli che sono in un posto sicuro e in buone mani». Incontrammo il Sandrino Locatelli, che ancora impaurito ci racconta :
« Questa mattina ero con mio padre Andrea nelle Carpiane , quando sulla strada, ( oggi Via Todeschini) si ferma una camionetta, scendono due militari armati e si dirigono verso di noi. Quando furono vicini ci chiesero se avessimo visto passare qualcuno in quella zona , mio padre rispose no.Uno dei militari, innervosito punta la canna del fucile al petto di mio padre e lo spinge contro un palo della luce minacciandolo di morte se non diceva la verità. Impaurito, senza profferire parola allargai le braccia e mi misi davanti a papà come per difenderlo. I due militari vista la scena, hanno desistito ad interrogarci e sono tornati sui loro passi verso la camionetta che era sulla strada ad aspettarli». (ndr. Era il 26 sett. 1944-quella notte ci fu l’assalto alla Villa Masnada da parte di un gruppo di partigiani,che furono uccisi a Petosino in un conflitto a fuoco con i tedeschi e le brigate nere.) Salutiamo il Sandrino e ritorniamo in Piazza velocemente dove ad attenderci c’erano i nostri compagni “i piasaröi” per dare loro la buona notizia che i nostri Staiko e Svoba erano salvi. Ci abbracciammo , formando un cerchio e dopo un attimo di silenzio…un urlo di gioia gridato da tutti insieme: « Hurrà !», consapevoli anzi sicuri di aver fatto una buona azione.
(Il seguito di questa storia, che diventa poi tragica, sul prossimo numero.)
Luigi Rota


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